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Alberto Vitucci: “Il Mose nel linguaggio dei giornali”

Trascrizione testuale dell’intervento

 

Intanto grazie a Gianni De luigi, al Patto per la Città Consapevole per aver illuminato un problema di cui si parla tanto – una volta se ne parlava meno, adesso vedremo perché – ma visto da un’altra prospettiva. Prima del 4 giugno 2014 i riflettori sul MOSE erano illuminati in modo molto diverso; va cioè dato grande merito alla grande inchiesta della magistratura di aver scoperchiato un pentolone che però bolliva da tempo, non è che fosse stato acceso il fuoco la sera prima. Come spesso succede nel nostro paese, prima arriva la magistratura poi, sul giudizio che ognuno dà sull’inchiesta, di come è finita, di come magari non è nemmeno cominciata per certi altri aspetti, quello è un altro discorso. Da punto di vista dell’informazione, che proverò a trattare rapidamente, diciamo che spesso arriva prima la magistratura e poi arriva il resto; è successo con Mani Pulite, è successo con Marghera, è successo con il MOSE. Quindi, grande merito se non altro di aver riacceso i riflettori che, diciamo, stentavano prima a trovare la corrente per illuminare. Pecrhé dico questo? Perché molto spesso i messaggi che sono passati in questa città e in questo paese sul MOSE, sul Consorzio Venezia Nuova erano di tutt’altro tenore rispetto a quelli che oggi cominciamo a capire; se ne parla, si è scoperto quello che pochi sapevano prima o magari pochi volevano sapere, e cioè che il vizio originale, la madre di tutti i vizi di questo marchingegno enorme pensato nel 1982, 1984 e poi con la nascita del Consorzio è il monopolio. Monopolio cosa significa? significa che io propongo una cosa, me la faccio finanziare, anzi non devo neanche andare in cerca dei finanziamenti come fanno i privati, non devo neanche fare una gara perché sono l’unico concorrente, perché la particolare complessità dell’argomento prevede che si affidi questa cosa direttamente a un gruppo di imprese.

Poi, cosa faccio? Faccio il progetto, realizzo il progetto, faccio i controlli sul progetto – non dimentichiamo che negli ultimi dieci, venti anni coloro che hanno fatto i controlli sulla bontà del progetto erano quasi sempre stipendiati dal Consorzio, magari in modo regolare, però con i fondi dello Stato, e molto spesso erano, a voler essere buoni, quanto meno compiacenti o bendisposti verso l’opera, perché, come diceva il simpatico attofre prima “io vi salvo tutti”. A una domanda del genere: tu vuoi salvare Venezia, chi di voi risponderebbe no? Nessuno, è ovvio. Quindi quale è il grandissimo trucco che è stato escogitato – lo chiamo trucco perché poi in tanti casi la gente ci è cascata – il messaggio era il seguente: vogliamo salvare Venezia? C’è un solo modo per salvare Venezia (questo è già più discutibile), e il solo modo per salvare Venezia era il marchingegno, il MOSE, un’opera che doveva costare… be’ lo abbiamo letto e sentito tutti in questi anni; prima era cosa per addetti ai lavori e per pochi Don Chisciotte che volevano sfondare la muraglia. Comunque, i numeri sono numeri: doveva costare 3200 miliardi, cioè un miliardo e mezzo di euro o poco più, oggi siamo a sei miliardi. Ma il bello deve ancora venire perché – io cerco di fare il giornalista, poi farò errori di tutti i tipi, ma quando uno vede che il meccanismo, un meccanismo dipinto come dovesse essere eterno, che sta sott’acqua, ha già dei problemi prima ancora di cominciare a funzionare, dovrebbe farsi delle domande e cioè: l’acciaio che era quello previsto dai protocolli approvati da tutti questi comitati, comitati tecnici, esperti, è lo stesso? Risposta: no! Abbiamo fatto un’inchiesta sull’Espresso, qualche impresa si è sentita offesa e ci ha perfino citati in tribunale a Roma (adesso vedremo come va a finire), perché sostengono che questa cosa non è vera. Invece è vera, perché il tipo di acciaio previsto dal protocollo non è quello utilizzato poi per le cerniere e per i meccanismi delle paratoie. Ovviamente, secondo loro è un acciaio migliore: è tutto da vedere. Poi: il tipo di cerniera che è stato usato era veramente il migliore possibile, il più duraturo? Risposta: no! Perché? perché hanno usato le famose cerniere saldate e non le cerniere fuse. Perché hanno usato le cerniere fuse? perché in quel momento, quando il “regime” – lo chiamavo io – era assolutamente incontrastato, l’unica impresa che dovevano utilizzare per fare le cerniere era un’impresa del Consorzio, della Mantovani, che si chiamava FIT, un’impresa che lavora benissimo, nessun dubbio su questo, ma che faceva quel tipo di cerniere.

Domande così ce ne potremmo fare tantissime; il simpatico attore [Riccardo Benetti] parlava di milioni e miliardi di euro. Se voi pensate come hanno ideato come prendere la paratoia dalle bocche di porto e portarla a manutenere, a pitturare, chi di voi ha una barca sa bene che dopo tre mesi sotto la barca crescono le alghe, i denti di cane e bisogna prenderla e tirarla su. Come facciamo a prendere queste paratoie che secondo il loro progetto devono essere rimosse una al mese e poi ogni tanto una si rompe, e portarle all’Arsenale? Bene, hanno progettato due “barchette” dal costo di 52 milioni di euro l’una. Domanda: non bastava un pontone attrezzato come poi hanno fatto? Le barchette da cinque anni sono ferme all’Arsenale, come le vedete, pitturate di giallo, ma non funzionano, non hanno mai preso il largo. Domande, domande che ci si deve porre ma che in periodo diciamo così di monopolio, di “regime”, è più difficile e faticoso porsi perché il Consorzio disponeva di una macchina informativa piuttosto potente. Io ricordo di aver conosciuto decine, centinaia di giornalisti che venivano dall’estero, invitati, gli pagavano l’albergo, e facevano un bel servizio su come il MOSE salverà Venezia. Da dove venivano queste risorse? Dalle vostre tasse, direi se fossi l’attore [Benetti], perché il Consorzio, per legge, oltre al monopolio disponeva di un 12% di piccolo risparmio da gestire come vuoi. Che significa, direte? che se un lavoro all’impresa di Burano costa 100 euro, al Consorzio costava 112, quindi 12 euro, che poi sono milioni, vengono accantonati per “oneri del concessionario” e spesi in pubblicità, riviste patinate, viaggi per giornalisti (chi vi parla no) e quant’altro; insomma: propaganda per far passare il messaggio che l’unico modo di salvare Venezia è quello. Per farlo passare si usa appunto tutta la potenza del concessionario unico, cioè si nominano i controllori, cosa che è passata un po’ sotto silenzio; è possibile che la bontà di un prodotto venga testata dallo stesso che lo ha costruito? In un paese civile, no. Ebbene, i famosi cinque “saggi” – io li ho chiamati professori – che vennero nominati per certificare che il famoso progetto andava bene, nel 1998-1999, sono stati scelti dal produttore, che li ha ospitati, gli dava un gettone di 150.000 euro, li ospitava in albergo, gli ha perfino fornito gli stivali quando sono arrivati la prima mattina: è necessario il MOSE? non non è necessario il MOSE, per questa acqua, 95 cm, servono gli stivali, e quindi gli hanno fatto avere in albergo un bel paio di stivali.

Che cosa voglio dire? Dico che il linguaggio, per venire al nostro titolo, utilizzato in questi anni per descrivere questa grande opera, al di là del fatto che uno può essere d’accordo o non d’accordo con l’idea, uno dice che comunque bisogna fare perché altrimenti poi ci perdiamo nei discorsi dei professori, eterni, e poi non facciamo niente – altra bugia grandissima, perché non era vero, oggi lo sappiamo, che non si poteva far altro che quello, si potevano fare tantissime altre cose, la famosa manutenzione, il famoso discorso che faceva l’amico Umgiesser, interventi che avrebbero ridotto questa maree medio alte che poi sono il nostro problema vero, insomma una miriade di cose che però è sparita dal tavolo. Sul tavolo cosa è rimasto? il messaggio da far girare forte, mi raccomando. Il governo Berlusconi era molto più furbo, e lo aveva capito, il governo Prodi era un po’ meno furbo, lo faceva in modo un po’ più noioso, ma il messaggio era quello: il MOSE salva Venezia.

Allora, che cosa resta al cittadino, visto che non è che ci si deve sempre dividere fra chi è favorevole e chi è contrario; bisogna vedere se questa cosa conviene alla città. Fino a oggi non è convenuto per nulla, perché da quindici anni tutte le risorse che venivano date comunque – mettere a posto gli intonaci, i palazzi, i rii, la laguna sono sparite e si vede, basta guardare una bricola: è sparita la manutenzione di quella che era la vita di questa città. Abbiamo speso finora, lo dicono con orgoglio, l’80% dei lavori è quasi concluso, quindi abbiamo speso quasi cinque miliardi di euro, e l’aggeggio ha funzionato da una parte con un piccolo pezzo – sono quattro le schiere alle bocche di porto, quella di Treporti l’hanno provata, quel giorno c’erano tutti, c’era il Presidente del Consiglio, c’era il sindaco, tutti, il Presidente della Regione, l’hanno provata, si è sollevata e poi l’hanno rimessa lì e infatti adesso non si solleva più perché dopo un anno che non viene testata, là sotto qualche problemino c’è.

Nell’altra schiera di Malamocco, che è stata posata correttamente, con le prime imprese al mondo, con una tolleranza di mezzo millimetro, si sono dimenticati di costruire la centrale elettrica necessaria per sollevare le paratoie; vi ricordo che questo progetto è stato scelto, mentre hanno scartato senza studiarli tutti i progetti alternativi, e funziona contro la corrente, cioè mentre in tutto il mondo si cerca di utilizzare le energie solari, la marea, il vento, qui invece dobbiamo costruire una centrale per tirarle su, e vengono su contro la marea. Se la centrale ancora non c’è, le paratoie stanno là, e se stanno la che cosa succede? Comincia a filtrare timidamente dalla nuova gestione dei commissari questo fatto; purtroppo le paratoie sono rimaste lì – l’ho pure scritto, ma è rimasto là – bisognerà ridipingerle tutte perché sono rimaste fuori, quelle di Chioggia esposte alla cacca dei gabbiani. Se voi andate a Malamocco sentirete ogni tanto un colpo di cannone: sono le registrazioni per mandare via i gabbiani che hanno fatto il nido sulle paratoie che sono là da sei mesi. Quelle bisogna ripitturale tutte; quelle sotto non si alzano perché non hanno la centrale, quelle altre bisogna fare la manutenzione perché ci sono i detriti, la corrosione, le cerniere e il problema è serio: quando il giornalista antipatico scrive una cosa che non gli piace allora sparano con il cannone. Mi ricordo che nel lontanissimo ormai anno 2000 fui tra i primi a scoprire il famoso scandalo di Torcello – le rive fatte con cemento e non più con i mattoni come si faceva fino a quell’anno – non dico che ho rischiato la pelle perché per fortuna non siamo in Sicilia, ma comunicati pesantissimi mandati al mio editore “questo allarmismo vergognoso, vi faremo vedere ecc. ecc.”. Titolo sull’Espresso: le cerniere sono corrose prima ancora di entrare in funzione: è la verità, ma il problema non è stato risolto come non è stato risolto il problema di chi abbia approvato tutte queste cose, perché se uno scopre nel 2014, dopo vent’anni di denunce inascoltate ed esposti finiti nel cassetto, lo so perché la commissione che mi ha dato la laurea, uno era pagato dal Consorzio, un altro diceva sempre sì senza neanche leggere il rapporto, qualche domanda sulla mia laurea qualcuno se la fa: siamo sicuro che aveva i requisiti per essere laureato? Quel lavoro lì secondo me è ancora all’inizio, cioè una vera verifica laica di chi ha detto che quella cosa va bene, e chi ha detto che va bene quando invece non andava bene qualche responsabilità ce l’ha.

Il discorso del MOSE è sterminato, purtroppo me ne occupo dall’inizio, e ho anche l’onore di essere citato in una delle intercettazioni, quando il presidente, direttore e factotum del Consorzio Mazzacurati, oggi emigrato felicemente in California e non ancora mai rinviato a giudizio, mi definisce come “il porco”; gli leggono un mio articolo una mattina e lui dice “ah, il porco è tornato dalle ferie”: ne ho fatto un ingrandimento e l’ho attaccato in ufficio.

Voglio dire che i nostri strumenti per capire quali siano le verità che ci arrivano e quali siano le verità un po’ addomesticate – vi ricordo che nel periodo clou del MOSE, quando dovevano approvarlo, il proprietario era l’Impregilo, che era proprietario anche del Corriere della Sera. La stampa è sempre stata abbastanza amica del Consorzio, quindi l’unico strumento che abbiamo come cittadini è informarci veramente, andare all’origine e leggere nelle carte se quello che ci raccontano è vero o no. Grazie.